Gratitude for infinite knowledge machine

Ho iniziato a odiare Internet e tutto ciò che rappresenta. Ora sto cercando di ricordarmi di come, in realtà, sia una infinite knowledge machine.

Gratitude for infinite knowledge machine
Un'immagine pubblicata da George Mack su Twitter.

Internet è un’invenzione straordinaria. Da poco più di 30 anni ha rivoluzionato radicalmente il rapporto tra noi, gli esseri umani, e la conoscenza. Grazie a Internet, infatti, abbiamo creato uno strumento di accesso a uno sconfinato archivio di informazioni accessibili a tariffe generalmente economiche, spesso accompagnate da commentari informati da parte di centinaia di esperte ed esperti e (soprattutto) presentato con un approccio completamente multimediale. 

Ma non si tratta solo di cultura. Attraverso le dorsali oceaniche che muovono fisicamente i dati che compongono la complessità di Internet si nascondono opere artistiche e nicchie di persone che, da anni, testimoniano con cura maniacale interessi e passioni clamorosamente specifiche. Nell’arco di pochissimi anni di storia, il potenziale di Internet si è dispiegato in maniera capillare in ogni ambito della società umana, accelerando processi di produzione, fruizione ed elaborazione della conoscenza fino ad allora regolati su ritmi molto più… umani. Alla fine del secolo scorso, Al Gore parla del World Wide Web come di una “information superhighway”, una super-autostrada delle informazioni. 

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Questo testo è stato originariamente scritto per Finestre di Dialogo di Guildor, un progetto di ricerca volto a indagare la consapevolezza e le opinioni di chi vive in Italia sui processi di estrazione e sfruttamento dei dati digitali, tipici del capitalismo della sorveglianza.

Da qualche settimana, sto raccontando qui i miei tentativi di tornare ad avere un rapporto positivo con Internet: questo è uno di quei tentativi.

Da allora, sulla carta, le cose non hanno fatto altro che migliorare. Abbiamo creato intere infrastrutture digitali pensate per permettere agli esseri umani di comunicare tra di loro. Abbiamo connesso persone prima definitivamente lontane. Abbiamo creato un ponte istantaneo a un patrimonio globale di esperienze e conoscenze costantemente aggiornato. Abbiamo preso la produzione di sapere, una delle caratteristiche fondamentali del nostro essere umani, e le abbiamo conferito uno stato di grazia, creando le condizioni perché si potesse sviluppare nel modo più potente e influente possibile. Abbiamo osservato questa evoluzione sbocciare e ora la osserviamo corrompersi. Osserviamo la trasformazione della conoscenza in dati. Osserviamo una tecnologia nata per diffondere conoscenza, diventare uno strumento per estrarre informazioni e dati personali e trasformarli in valore economico. 

Questo processo è, ormai, in gran parte fuori dal controllo di noi: utenti, cittadini, esseri umani. 

Le opere di Guildor raccontano la storia di questo sfatamento. Nella rappresentazione di gesti, emozioni e processi, Guildor descrive la perdita di contatto tra gli esseri umani e la loro agency nei confronti del potenziale di Internet. La tecnologia diventa prima strumento e poi piattaforma e il suo funzionamento assume una dipendenza totale dai meccanismi che regolano questi spazi digitali di proprietà privata. Internet non è più una sonda esplorativa per nuovi desideri, ma un oracolo silenzioso che ci suggerisce ciò che possiamo desiderare, accompagnandoci in realtà a contenuti pensati esclusivamente per catalizzare la nostra attenzione. 

Un'immagina pubblicata da George Mack, spero sia sua perché mi fa sorridere.

In questo percorso, abbiamo iniziato a odiare Internet e le piattaforme attraverso cui oggi, per la maggior parte del tempo, lo usiamo. Il lavoro di Guildor ci invita a questionare nuovamente questo rapporto, evidenzia comportamenti e approcci che abbiamo iniziato a dare per scontati finendo per dimenticare la reale ragione per cui Internet è stato inventato, ovvero essere al nostro servizio — e non viceversa. Finestre di dialogo racconta l’inversione di questo equilibrio di potere attraverso la rappresentazione di comportamenti, piccole epifanie e scorci di vita quotidiana che descrivono una relazione che ha smesso di essere negoziata dagli utenti e i cui confini sono tracciati esclusivamente dalle stesse piattaforme che capitalizzano il nostro utilizzo di Internet. 

Non si tratta, semplicemente, di immaginare qualcosa di nuovo. Il ruolo che Internet ricopre nella società contemporanea non è più accessorio, è fondamentale al nostro percepirci umani. È una vera e propria dipendenza, la stessa per cui rimaniamo incollati per ore ai feed dei social network che frequentiamo, ma è soprattutto un dilemma esistenziale: come possiamo ristrutturare il funzionamento di uno strumento che, oggi, è essenziale al nostro essere sociali, creativi, informati e intrattenuti? Come affrontare questo processo mentre le stesse piattaforme digitali agiscono attivamente per impedircelo? 

La prima direttrice che possiamo valutare di implementare è quella di una risemantizzazione del nostro rapporto con Internet. Nei giorni che hanno preceduto la scrittura di questo testo, mi è capitato di imbattermi in un thread su Twitter che, forse inconsapevolmente, proponeva una risignificazione ironica ma radicale: ricostruire un rapporto salutare con Internet significa maturare gratitudine per la possibilità, oggi, di avere in tasca una “infinite knowledge machine” - un dispositivo, lo smartphone, in grado di darci istantaneamente accesso a un patrimonio di conoscenze virtualmente infinite. Maturare questa gratitudine non significa indossare degli occhiali rosa e ignorare gli evidenti e profondissimi problemi che rendono oggi Internet il pilastro fondamentale di un’infrastruttura di sorveglianza estrattiva e oppressiva.

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Invece, significa re-interpretare le possibilità di questo strumento, osservandone il funzionamento non più in modo passivo, ma con il desiderio attivo di renderlo compatibile con questa gratitudine. Ma non si tratta solo di Internet: le dinamiche che hanno portato alla corruzione del senso del World Wide Web sono le stesse che descrivono i rapporti di potere ed economici che stanno accelerando i processi estrattivi del capitalismo contemporaneo. L’infrastruttura socio-economica che abbiamo costruito, nel tempo, per sostenere il funzionamento della società non è più percepita come liberante, ma al contrario una gabbia oppressiva da cui è impossibile sfuggire. 

Ripristinare un rapporto di gratitudine tra noi umani e queste infrastrutture significa metterle concretamente al nostro servizio, delegando alla tecnologia gli incarichi produttivi e liberando dunque il tempo degli umani. 

Finestre di dialogo accende i riflettori su questa necessità descrivendo scene del rapporto tra noi e Internet allo stesso tempo individuali e universali. Di cosa abbiamo bisogno per permettere a questa tecnologia di influenzare la nostra esperienza umana in modo positivo, inclusivo e arricchente?

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